Scienza Galileiana

Ma cosa c’entra Galileo Galilei?
La sentenza della Sezione Penale del Tribunale dell’Aquila avversa ai componenti della Commissione Grandi Rischi che si riunirono nel capoluogo Abruzzese per volere dell’allora Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha riaperto una annosa polemica fra mondo della Scienza e società civile.
Giornalisti ed uomini di Scienza stanno, in questi giorni, alimentando una querelle contro il collegio di magistrati che ha concorso ad emettere il giudizio di primo livello.
Viene addirittura invocata la Santa Inquisizione che nel 1633 condannò, per eresia, Galileo Galilei, sostenitore della teoria copernicana eliocentrica sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria aristotelica – tolemaica, geocentrica, sostenuta dalla Chiesa cattolica.
Galileo Galilei subì un processo per aver “detto troppo” in un momento storico in cui era “conveniente” tacere perché “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”.
Come tutti sanno, si risolse con l’abiura, da parte dello scienziato, delle sue troppo moderne ed avanzatissime concezioni astronomiche; “e più non dimandare”!
A cosa si era assistito? Ad uno scontro fra il potere oscurantista spirituale/temporale della Chiesa Cattolica Apostolica Romana (la più longeva forma di potere a memoria d’uomo) e la liberà di pensiero e di espressione della Scienza dei lumi.
La sostanza di quella sentenza era basata sul fatto che divulgare troppe informazioni al popolo avrebbe potuto rappresentare un pericolo per lo status quo creato ad arte dalla struttura ecclesiastica romana, già notevolmente scossa dal Protestantesimo.
La Chiesa risponde alla Riforma luterana con una Controriforma, chiudendosi ancora di più nelle sue posizioni.
Alla Chiesa cattolica non andava giù che Galileo si intromettesse in questioni religiose, vedeva in lui una specie di “protestante”, che applicava la teoria propugnata da Lutero del libero esame: la figura del prete che legge le Scritture é inutile; ognuno é libero di esaminarle e di interpretarle da sé ( e questo contribuì moltissimo all’ alfabetizzazione dei paesi protestanti a discapito di quelli cattolici ).
E questo per rinfrescare la memoria sul caso Galileo Galilei. Ma adesso, lasciamo il 1633 e veniamo al XXI secolo.
Siamo in una Repubblica democratica, lo Stato Italiano, in cui il popolo esercita la sua sovranità secondo i dettami di una Costituzione (art.1). Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. (art. 7). Inoltre, nella Repubblica italiana viene promossa la ricerca scientifica e tecnica (art. 9).
Le premesse appaiono sostanzialmente differenti rispetto al contesto di 400 anni fa.
Ma veniamo alla Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi.
E’, senza ombra di dubbio, un organismo istituzionale, normato dalla legge del 24 febbraio 1992 n. 225.
La Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, organo consultivo e propositivo del Servizio nazionale della protezione civile, fornisce le indicazioni necessarie per la definizione delle esigenze di studio e ricerca in materia di protezione civile, procede all’esame dei dati forniti dalle istituzioni ed organizzazioni preposte alla vigilanza degli eventi calamitosi ed alla valutazione dei rischi connessi e degli interventi conseguenti, nonché all’esame di ogni altra questione inerente le attività
finalizzate a tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi.
Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri stabilisce le modalità organizzative e di funzionamento della Commissione. Ruoli, funzioni, compiti ed attività sono ben chiari e definiti, come è possibile evincere sia dal DPCM n. 1250 del 3 aprile 2006, che dal successivo provvedimento del 7 ottobre 2011 volto alla riorganizzazione della Commissione.
Dunque, chi opera all’interno della Commissione riveste una funzione decisamente differente da quella tipica di un Accademico puro: non è un semplice pensatore, tipo Galileo Galilei, ma un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni con tanto di potere deliberativo, in merito alle argomentazioni trattate.
Inoltre, qualora la Commissione ritenesse necessaria l’esecuzione di specifici studi, indagini o analisi, il Presidente o il Presidente vicario ha facoltà di rappresentarne l’esigenza al capo del Dipartimento al fine degli ulteriori seguiti di competenza.
Sulla base di tali premesse, è giocoforza affermare che la Commissione disponga di una innumerevole quantità di risorse informative tali da consentire l’espressione di giudizi o valutazioni di merito.
Ed allora perché ci si è limitati solo ad affermazioni semplicistiche ed ovvie quali “i terremoti non sono prevedibili” oppure “la zona è altamente sismica”?
I giudici del Tribunale non si sono espressi in merito alle capacità previsionali dei componenti della Commissione Grandi Rischi ma, piuttosto, sul fatto che la Commissione ”non abbia sufficientemente allertato”, gli organi competenti anzi abbia ”minimizzato” sulle possibili conseguenze di un evento calamitoso.
Fra i capi di imputazione si legge che «sono state fornite, dopo la riunione, informazioni imprecise, incomplete e contraddittorie sulla pericolosità dell’attività sismica vanificando gli interventi di tutela della popolazione».
Secondo i pubblici ministeri, gli imputati «sono venuti meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro funzione» anche sotto il profilo dell’informazione. La diffusione di notizie “rassicuranti” avrebbe «indotto le vittime a restare nelle case».
Quindi, alla base della sentenza sussisterebbe non un accanimento nei confronti dei rappresentanti del mondo della Scienza per la persistente impossibilità di stabilire quando, dove e con quale intensità si verificherà un sisma, piuttosto, un difetto di comunicazione, un mancato sprone alla proattività, una dimenticanza sulla verifica di procedure note e consolidate, un pigro messaggio di coinvolgimento della popolazione, quale parte attiva nei più basilari processi di autoprotezione.
E’ esattamente il contrario di quanto, 400 anni fa, portò uno scienziato ad umiliarsi, con l’abiura delle sue convinzioni basate su rigore metodologico e scientifico, al cospetto del potere oscurantista: Galileo diffondeva teorie nuove, apriva alla conoscenza, dava la stura al ragionamento ed all’analisi critica.
Eppure, anche questa volta c’è stato il tentativo di oscurare l’informazione, di non far sapere, di tener buoni i villici. L’intercettazione telefonica pubblicata da “RepubblicaTV” è chiara: sette giorni prima dell’evento distruttivo del capoluogo abruzzese, l’allora Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guido Bertolaso, nella conversazione con l’Assessore Regionale alla Protezione civile dell’Abruzzo, Daniela Stati, precisò che la riunione della Commissione Grandi Rischi a l’Aquila sarebbe stata un “evento mediatico”. Le conclusioni erano già state concordate: i massimi esperti di sismologia avrebbero affermato che la situazione era normale, che si era al cospetto di fenomeni noti, che lo sciame sismico non sarebbe mai degenerato in una scossa di magnitudo elevata.
Nessuna paura, nessuna preoccupazione, tranquillizzare la gente attraverso le parole degli scienziati.
Nel 1600 Galileo si umiliò rinnegando le sue convinzioni, i suoi studi. Oggi, un gruppo di valenti uomini di scienza ha accettato di interpretare un ruolo “mediatico” piuttosto che assolvere la funzione alla quale è preposto: tutelare la vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente attraverso azioni che scaturiscono dai lumi della ragione.
Il primo grado di giudizio è scaturito da trenta udienze, quasi una a settimana, per giungere, scientificamente, alla sentenza definitiva.
Marco Billi, giudice unico del processo penale, afferma, seguendo un rigore decisamente scientifico, che sarà “esaustivo fino al capello per arrivare alla motivazione e qualunque cosa al di fuori non si può dire”.
La giustizia si compone da altri due livelli di giudizio, attraverso i quali si dovrà pervenire ad una maggiore definizione delle responsabilità.
La sentenza non condanna la Scienza.

Giorgio Coppola
Geologo

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